C’è tutta una serie di individui che da qualche tempo, la sera, si ritrovano in una certa via della mia cittadella a bere, mangiare, drogarsi (senza offrire), litigare, menarsi, pisciare, vomitare, financo cagare, ascoltare pessima musica e sguinzagliare cani perennemente latranti. Ma per qualche motivo che solo a Dio è dato conoscere, hanno scelto come panchina su cui sedersi il gradino dell’ingresso dell’unico abitante della suddetta via che (suggestionato da antiche, desuete e anche un po’ patetiche teorie fricchettone di freedom-take-it-easy-no-problem-man) non ha mai -dico mai– protestato, inveito, sottoscritto, denunziato alle inutili idiote forze dell’ordine, strepitato alcunchè contro di loro. Questa persona anzi, grazie a una struttura fisica che ritiene sufficientemente intimidente, non ha mai avuto alcun timore ad uscire la sera dopocena e, aperto il portone, scavalcato un corpo inerte, offerta una sigaretta, scivolato su una pozza di innominabile materia organica, devoluto un euro per comprare un panino, offerta un’altra sigaretta, avviarsi fischiettando per i fatti propri.
Dato che una delle poche cose al mondo per le quali sono disposto a mettere la mano sul fuoco è l’arguzia degli amatissimi lettori di Come eludere l’Ansia Tropicale, non dubiterò neanche per un secondo del fatto che abbiate intuito chi è questa persona.
Insomma, si potrà giustamente ipotizzare che io sia lievemente irritato da questa situazione. Se non che, quando in una serata di pioggia, uscendo, mi sono accorto che questi qui avevano steso dei fazzoletti per non rinunciare a sedersi sul gradino bagnato del mio portone, allora ho capito che di mezzo c’era una sorta di devozione, sì, cioè, al mio portone questi gli vogliono bene.
E un intimo tepore, un soffio di amore universale, mi ha fatto provare per i punkabbestia della mia via un’affettuosa, sincera simpatia.
(no, scherzo: spero con tutto il mio cuore di vederli in un lager costretti a cibarsi delle interiora dei loro genitori morti)
{ 8 comments… read them below or add one }
Pensa avercene avuto uno come coinquilino.
Eh ma per questi cibarsi delle interiora dei genitori sarebbe un piacere dei più sopraffini, propongo invece il salotto forzato: obbligo di colletto duro, seduti in punta di poltroncina con fodera di cretonne a fiori, mani sulle ginocchia, tè (da non toccare) che si raffredda sul tavolino basso, dieci ore al giorno. Il tutto vigilato da feroci energumeni.
Una volta mi svegliai dopo una sbronza e dovevo vomitare.
Scopro di trovarmi seduto all’ interno di un’ autoveicolo – non mio – con le sicure chiuse, quindi non posso aprire le porte ( i miei amici erano andati a mangiarsi un cornetto)
Mentre sono al limite, do cazzotti ai vetri per richiamare l’attenzione, per miracolo un amico mi vede, aprono le porte dell’ auto e, restando seduto, comincio ad evacuare.
C’è mancato tanto così che affogassi col mio vomito. ( “Tanto così quanto ?” Così.)
Anni fa, durante una festa, un mio amico, anzi mio cugino, va bè io ho riversato una corposa pozzanghera di vomito sul pavimento della padrona di casa. Nel casino non se ne erano accorti in molti, tuttavia. Non molto dopo, riavutomi per virtù di risorse purtroppo ormai perdute, mi metto a conversare amabilmente con la cortese ospite, finché qualcuno le indica, con suo sommo obbrobrio, che il suo piede destro posava nel mezzo del mio vomito.
Secondo voi ho rivelato che era mio?
Ma vomitare dopo aver bevuto fino a non riconoscere la propria voce ha qualcosa di immorale od eticamente esecrabile? No perché io lo faccio da sempre, ogni sera.
Ma farli sbranare dai loro stessi cani?
Naaa …
e poi zio Giorgio a chi offre le sigarette ?
pensa avercene avuto uno come fidanzato.
(no, vabbè, frequentava solo i loro stessi posti.
poi si faceva la doccia.)